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Connessomagazine.it incontra Erich Lessing, premiato a Pordenone con l'International Award of Photography 2007

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[img_assist|nid=8208|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]PORDENONE - La folla abbatte la statua di Stalin e occupa le redazioni dei giornali. Le sedi del Partito sono assediate. Nelle strade si bruciano i libri russi. Gli scontri si prolungano fino a tarda notte nella sede della Radio nazionale e nei dintorni. All’alba il bilancio è pesante: 350 vittime e migliaia di feriti. Il 24 ottobre Budapest sprofonda nel caos.

Con queste parole l’ungherese François Fejto, docente universitario, giornalista, illustre storico della politica est-europea, descrive l’inizio di uno degli eventi che maggiormente hanno segnato la storia del primo dopoguerra: la rivolta del popolo ungherese contro l’occupazione sovietica, che ebbe luogo a Budapest, e da lì in tutta l’Ungheria, fra il 23 ottobre e il 10 novembre 1956. Il racconto di quegli avvenimenti, di quei quindici giorni di rivolta, nell’altalena di speranze e drammatiche delusioni che culminò con la sanguinosa repressione dell’esercito sovietico rivive indelebile nelle immagini del reporter austriaco Erich Lessing. Grazie alla preziosa collaborazione di Walter Liva e Lara Zilli del Centro di Restauro ed Archiviazione Fotografica di Lestans abbiamo avuto modo ieri di incontrarlo a Spilimbergo e di scambiare qualche battuta su quello straordinario reportage fotografico che documenta in maniera eccezionale uno degli eventi che maggiormente hanno segnato la storia europea degli anni Cinquanta.
Connessomagazine.it: - Signor Lessing, ci sono tre modi pe partecipare a una rivoluzione: essere dalla parte degli insorti, da quella del governo oppure essere da quella dei testimoni. Lei è stato uno dei più preziosi testimoni di quella avvenuta cinquant'anni fa a Budapest. Che atmosfera si respirava in quei giorni?
Erich Lessing - Io arrivai in Ungheria, a Budapest, prima[img_assist|nid=8210|title=|desc=|link=none|align=right|width=640|height=640] dell’ottobre del ’56. In estate. Trovai dinanzi a me un Paese che tutto sommato, per quanto fosse povero, con un agricoltura ed un industria arretrate, era un Paese normale che non viveva ancora nella paura. Gli studenti scendevano in piazza per manifestare solidarietà ai loro colleghi polacchi e tutto sembrava procedere senza gravi disordini. Quello che gli universitari chiedevano non era altro che la libertà di stampa. Quello che io immortalai con la mia macchina fotografica erano solo dei ragazzi che chiedevano legittimamente di poter essere liberi di esprimersi. Nulla di più di questo. In realtà ben presto il dibattito sulla libertà di stampa finì per coinvolgere e mettere in discussione tutta la politica del regime e da Budapest cominciò a dilagare in tutta l’Ungheria. Dalla richiesta di libertà di stampa alla rivoluzione il passaggio fu breve e per strada si cominciarono a vedere i primi morti. La rivoluzione fu come un focolaio, che si estese pian piano diventando un incendio, unendo i rivoltosi nella destalinizzazione e che costò la vita a centinaia di persone e l’esodo di migliaia di ungheresi.
Connessomagazine.it: - Lei ha fotografato i protagonisti della Rivoluzione. Chi la colpì di più?
Erich Lessing: - Nessuno in particolare. Tutti erano importanti in quel momento. I politici, come i filosofi, come tutti quei giovanissimi studenti. Tutti coloro che hanno pagato con la vita il prezzo del cambiamento.
Connessomagazine.it: - Lei ama definirsi uno zóon politikón, un animale politico. Che cosa è per lei la politica e come vede oggi la situazione politica mondiale alla luce di quel che avviene intorno a noi?
Erich Lessing: - Per me la politica è la vita. E la politica di oggi non è cambiata rispetto al passato. Tutto è rimasto come un gioco di mosse, come negli scacchi, solo che a differenza del gioco non vi è soluzione. Se penso all’Iraq, al Kosovo, alla Palestina. Tutti problemi irrisolti e irrisolvibili finché non si risolveranno le questioni legate alla religione. Solo allora ci potrà essere la speranza che le cose vadano finalmente meglio per tutti. E poi non c’è comunicazione. Abbiamo sempre più bisogno di giornalisti, di fotografi che raccontino quel che accade ogni giorno nel mondo. Non c’è in verità però nessuno che racconti la storia. C’è la Tv è vero. Ma la Tv non fa reportage, è solo la punta dell’iceberg di quello che ci accade intorno. Non fa vedere come vive una famiglia in Cecenia, a Bagdad o a Kabul. Io non vedo un reportage sul Kosovo da almeno tre, quattro anni. Tutti lo hanno dimenticato. Noi vediamo dalla Tv solo una piccola parte di quello che c’è realmente. Non c’è abbastanza informazione, non siamo ben informati visivamente.
[img_assist|nid=8212|title=|desc=|link=none|align=left|width=640|height=418]Connessomagazine.it: - Per concludere, visto che lei è uno tra i più apprezzati fotografi di opere d’arte conservate nei principali Musei del mondo, qual è il rapporto che intercorre tra fotografia ed arte?
Erich Lessing: - Sia la fotografia che l’arte sono mezzi di espressione. La differenza sta nel fatto che in fotografia vedi la gente in posa per un minuto, trenta secondi, dieci secondi mentre i pittori ritraggono i loro soggetti nel tempo, con i loro cambi d’umore se si tratta di persone, ritraendoli in diverse fasi se si tratta di paesaggi. Poi oggi la fotografia sta diventando tutta una questione di pixel. Vedremo domani cosa accadrà.