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Elisabetta Bolaffio - Uomini

Esiste un’anima del nostro tempo - scrive Accerboni - che mira alla materialità dell’avere, l’altra all’essere. Su quest’ultimo concetto si sono focalizzate di recente l’attenzione e la visione pittorica di Elisabetta Bolaffio, triestina di ceppo ebraico e di madre milanese, che nei grandi occhi dei suoi modelli immaginari traduce, con intensa sensibilità estetica e narrativa, tutto il fascino e il dolore di un mondo che spesso, per fretta, egoismo e noncuranza, siamo usi tenere a distanza: un’umanità dolente, simbolica, spesso attonita, che il pennello fine dell’artista descrive nell’intimo, avvalendosi della grande dimensione per accentuare la pura, a volte inconsapevole, bellezza, la malinconia, la solitudine di quelle anime pensierose.

Un’ispirazione non premeditata, che ha colto l’artista all’improvviso, dopo che per anni la passione per la pittura l’aveva condotta lungo un percorso, qualitativamente in salita, che prediligeva il tema del paesaggio: tendenzialmente narrativo all’inizio, espressionista e materico poi, ma sempre connotato da un fattore fondamentale nella pittura di tutti i tempi, la luce. E di luce risplendono i grandi occhi scuri, straniati, che compongono la mostra, affondando in un’oscurità che assume valenza di scenario simbolico, secondo i parametri di un odierno naturalismo o verismo. Come se a narrare la loro storia fosse un moderno Émile Zola o un Victor Hugo o un Giovanni Verga del ventesimo secolo, pronti a rammentare all’Occidente vicende di dimenticato squallore…

Cos’è che ha colpito d’improvviso e senza un movente razionale l’artista e hic et nunc l’ha condotta a descrivere attraverso i loro grandi occhi spesso feriti, l’animo e la vita di questi “uomini”? C’è, secondo alcune teorie, una sorta di coscienza o conoscenza comune, al di là del reale, cui spesso i più sensibili tra i testimoni di ogni epoca attingono, per raccontare la verità della vita. Tra questi testimoni ci sono spesso, quasi a loro insaputa, artisti, pittori, poeti, menti immaginifiche capaci di intravvedere il reale al di là dello stesso e spesso di preannunciarlo, da acuti sensori del loro tempo e per questo spesso animi travagliati.

Elisabetta Bolaffio - conclude Accerboni - nonostante un’apparenza pragmatica, è tra questi e grazie al mezzo eletto della pittura, sviluppata nell’accezione figurativa e simbolica, ha iniziato con tale ciclo pittorico una riflessione e forse un’indagine sul nostro egocentrismo, alla ricerca di una soluzione, cui pervenire attraverso una denuncia poetica e icastica.
 
Elisabetta Bolaffio dipinge con passione dalla prima giovinezza. Ha iniziato ad affinare tecniche e linguaggi, frequentando i corsi di pittura tenuti da Carmelo Vranich nel suo atelier. Alla Scuola del Vedere - Libera Accademia di Belle Arti, diretta a Trieste da Donatella Surian, ha seguito gli insegnamenti di Marino Cassetti, Roberto Tigelli, Claudio Mario Feruglio, Christian Hache (nudo) e Antonio  Sofianopulo. Predilige, oltre all’olio, anche l’acrilico, l’olio ad acqua e il pastello secco.
 

Scheda Evento

Quando:
Dal 17 al 30 dicembre 2011
Location:
Galleria Rettori Tribbio 2, Piazza Vecchia 6 - TRIESTE