[img_assist|nid=5862|title=|desc=|link=none|align=left|width=640|height=640]UDINE - Il neologismo Fareastwood è stato coniato per l’occasione dal CEC per sottolineare, come ogni anno, la capacità del cinema dell’estremo oriente di essere autenticamente popolare senza le demagogiche riserve culturali che separano in occidente i film d’essai dai blockbuster.
Ma Fareastwood significa anche, soprattutto negli ultimi anni, la dipendenza di Hollywood in crisi creativa dai prodotti asiatici, visto il gran numero di remake di film che abbiamo visto proprio al Far East Film Festival in gran anteprima o quasi rispetto al resto dell’Europa (vedi The Ring, The Grudge, Infernal Affairs, solo per citare i casi più noti). Questa tendenza intristisce chi ha a cuore il cinema occidentale e soprattutto chi vorrebbe fare cinema in paesi come l’Italia in cui il film di genere non esiste e/o non viene finanziato, ma rallegra chi continua a guardare[img_assist|nid=5863|title=|desc=|link=none|align=right|width=424|height=640] all’Oriente come fonte di divertimento cinematografico senza vergogna. I grandi festival europei, proprio sulla scia del successo del piccolo Far East, mostrano e spesso premiano ben più film orientali di un tempo, ma tendono a privilegiare quelli più ‘adatti’ alle nicchie cinefile, lasciando quasi inalterato il serbatoio di film popolari dove Udine va ad attingere.
Questa lunga premessa serve per far capire come, nonostante il CEC nelle ultime edizioni avesse messo le mani avanti sottolineando le prossime difficoltà a reperire titoli in anteprima per la competizione sempre più aspra con i festival maggiori, e avesse anticipato una decisa virata verso le retrospettive, ci si trova alla nona edizione con un programma che gli addetti ai lavori e i cinefili di marca orientale non esitano a definire tra i migliori di sempre. Il Far East è ancora, miracolosamente, quello showcase di cinematografia orientale che consente un colpo d’occhio fondamentale sulla produzione dell’ultimo anno; inoltre, grazie a retrospettive come quella su Patrick Tam, la più importante di quelle proposte nelle ultime quattro edizioni- sta diventando riferimento imprescindibile anche per gli studiosi di cinema orientale.
Nella speranza che, per i motivi sopra esposti, il FEFF continui a trovare finanziamenti per i prossimi anni, la nona edizione si è aperta con l’ormai consueto tutto esaurito tra [img_assist|nid=5864|title=|desc=|link=none|align=left|width=456|height=640]accreditati e curiosi, con i consueti saluti delle autorità che si sono dilungate un po’ troppo sui sentieri della fratellanza pelosa (ma checcifrega, senza la politica purtroppo non si fa nulla), e con il consueto mezzo flop del film d’apertura.
Dai tempi de La Brassiere di Patrick Leung (FEFF 4, credo) non si vede un debutto del festival convincente –e il kolossal fantasy nipponico Dororo non ha fatto eccezione. Campione d’incassi in Giappone in questo inizio di 2007, e tratto da un manga di successo, Dororo non è un brutto film nel suo genere, non è particolarmente offensivo per l’intelligenza di adulti e bambini né è smaccatamente melodrammatico. Manca però di ritmo anche a causa di un finale tirato per le lunghe, non gode di protagonisti carismatici e soprattutto, per chi si vuole divertire senza vergogna, non ha effetti speciali all’altezza. Speriamo in blockbuster nipponici migliori fin da sabato con Umizaru 2 o domenica con Sinking of Japan. Love Massacre di Patrick Tam, primo film notturno della nona edizione, è stato salvato dall’oblio proprio dal Far East Festival, e pertanto giustamente designato come ‘film evento’. Stranissima commistione tra slasher movie e film d’autore esplicitamente ispirato ad Antonioni e Godard, il film è stato ‘condannato’ dallo stesso Patrick Tam presente sul palco, in quanto troppo attento ai colori e alla forme piuttosto che alla sostanza dei personaggi. Apprezzata l’ estrema, quasi crudele onestà autocritica del regista, va detto che certi eccessi sperimentali vanno contestualizzati alla new wave del cinema hongkonghese dei primi anni ottanta. In Love Massacre, potrebbero dire critici migliori di chi scrive, la forma è la sostanza….e poi uno che muove la macchina da presa come Patrick Tam va perdonato a prescindere