[img_assist|nid=5903|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]UDINE - Blockbuster: film o libro che riscuote grande popolarità e successo di vendita. E’ un termine assai utilizzato negli ultimi anni anche in Italia, in particolare in relazione ai film di successo hollywoodiani, e ora particolarmente diffuso dopo che l’omonima franchise si è allargata in tutta Europa.
I blockbuster sono i film di cassetta – insomma quelle pellicole che certa critica guarda con estremo sospetto, i film popolari e pertanto stupidi per antonomasia. Al di là della semplificazione, il termine blockbuster viene spesso appioppato ai film dotati di grande budget e sostenuti dai grandi studios, indipendentemente dai biglietti venduti e dall’effettivo successo.
Nel FEFF di quest’anno il numero di blockbuster è assai ampio, vista la tendenza dei distributori occidentali a favorire l’approdo ai festival dei film indipendenti, piuttosto che alle grandi produzioni… salvo poi partorire remake di quelle produzioni con attori più conosciuti a queste latitudini dei vari Andy Lau e Anthony Wong. Tocca così al piccolo festival di Udine mostrare senza vergogna i film[img_assist|nid=5904|title=|desc=|link=none|align=right|width=640|height=424] di cassetta orientali ad un pubblico assetato di pop asiatico e pertanto non disponibile a distinguere i prodotti per palati fini dai prodotti di massa.
La Corea ha sempre partorito i blockbuster più fracassoni qui al Far East, da Musa all’amatissimo Welcome to Dongmakgol, da Dance with the Wind al terribile Tae Guk Gi. Quest’anno il Giappone ha raccolto lo scettro in termini numerici, come vedremo in seguito: ma il filmone per ora più applaudito, giunto a Udine dopo essere già passato per l’Europa, è stato certamente The Host. Diretto da Bong Joon-ho, autore del bellissimo Memories of Murder, già presente a Udine, The Host ha abbattuto i record d’incasso in Corea ed è certamente ad alto potenziale di remake a meno che non trovi qualche distributore coraggioso in Occidente. La semplice storia di un mostro che esce dal fiume di Seul a causa di mutazioni genetiche prodotte dall’inquinamento delle acque e che (pare) generare un’epidemia in tutta la nazione è virata dagli sceneggiatori in un intreccio melodrammatico e umoristico al tempo stesso. I protagonisti dell’inseguimento al mostro sono i membri di una famiglia incrinata da fallimenti e separazioni, ma che al momento del bisogno scopre una strana forma di unità antisistema che abbatte paure e ipocrisie dei militari e della burocrazia. Confrontato con film catastrofici come il recente La Guerra dei Mondi o Indipendence Day, The Host non insiste sul potenziale apocalittico delle premesse, sui sensi di colpa e sugli eroismi del genere umano, ma sull’umanità per nulla politically correct e fuori moda dei suoi protagonisti reietti, con una spigliatezza e uno humour nero rari per il genere. Certo il film, dopo una ventina di minuti irresistibili, è qua e là troppo lungo, in particolare nel finale, e la commistione di generi lo rende originale ma anche assai ineguale. Però intrattiene e fa meditare – e non è poco.
Il resto della ciurma di blockbuster visti finora al FEFF non è stata così brillante, in particolare per i giapponesi. Di Dororo, carino ma nulla più, si è già detto nei giorni [img_assist|nid=5905|title=|desc=|link=none|align=left|width=441|height=640]precedenti. Umizaru 2: Test of Trust (che mi sono perso) è stato descritto da qualcuno in sala come uno spot della guardia costiera più che come un film catastrofico –; Sinking of Japan invece la catastrofe la mostra con gusto (la distruzione del Giappone colpito da terremoti multipli), ma la accompagna ad una sceneggiatura troppo elementare; Death Note, nei suoi due lunghi episodi tratti dal manga omonimo, convince come impianto drammatico grazie al buon fumetto da cui è tratto, ma è talmente standardizzato e prevedibile nella messa in scena da sembrare quasi un prodotto televisivo. Un blockbuster coreano mancato è invece The Restless, e si capisce bene perché non abbia sfondato a casa propria –in qualche momento pare una scopiazzatura del Signore degli Anelli in salsa wuxiapan, e non emoziona mai nonostante gli interminabili inserti melodrammatici. In attesa di altri filmoni –che attendiamo con entusiasmo perché un po’ di fracasso su schermo grande è assai liberatorio- sospendiamo il giudizio. Finora però –con l’eccezione di The Host- a vedere le proposte del FEFF viene il sospetto che anche i blockbuster orientali soffrano di omologazione come quelli occidentali, e che la mancanza di idee negli spettacoloni più roboanti sia problema comune in tutti i cinema del mondo. Non vorremmo insomma che Fareastwood divenisse un clone di Hollywood più che una riserva di ingegno per gli stanchi studios occidentali.