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Indonesia meglio di Nakata nella prima del Far East

ConSequenze

[img_assist|nid=13033|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]UDINE - Non prometteva bene, l’ultimo film di Nakata Hideo. Sapere che il maestro del J-Horror, di ritorno in Giappone, si era cimentato nel proseguimento del ciclo di Death Note, un pout-pourri di action, thriller e horror tratto da un manga notissimo in patria, aveva un po’ sconcertato i cultori più accaniti dei suoi capolavori.

                 Tuttavia, mi dicevo prima di inaugurare la mia poltroncina al Far East Ten, anche i lavori alimentari, per dirla con il critico dei critici e con i più attivi denigratori del cinema commerciale, sono assolutamente benvoluti in un festival di cinema popolare quale è il Far East Film Festival.

                  Ebbene, i peggiori sospetti su L: Change the World, il film scelto dal CEC per aprire il Festival con tanto di Maestro in sala, si sono purtroppo rivelati fondati. L: Change the[img_assist|nid=13034|title=|desc=|link=none|align=right|width=640|height=428] World è uno spin-off del ciclo di Death Note, visto l’anno scorso al Far East e riproposto in sala prima dell’inaugurazione ufficiale. Ne ripresenta il protagonista, l’ingobbito genio informatico amante di dolciumi L, questa volta in veste di salvatore del mondo contro una setta di ecologisti (?) convinti di purificare la terra dai troppi umani con un virus letale.

                  Mentre i due episodi di Death Note, campioni di incassi in Giappone, sono prodotti girati con buon mestiere, standardizzati quanto si vuole ma sicuramente divertenti, L: Ch’ange the World è imbarazzante per mancanza di ritmo e di fluidità del racconto. Melò, horror, sci-fi, action movie cercano di convivere senza successo, e lo spettatore è costretto a prestare attenzione a virate cervellotiche della trama, tra esplosioni (gratuite) e buoni sentimenti (poco convincenti). Al Far East si perdona quasi tutto pur di poter essere onestamente intrattenuti –questa volta però gli sbadigli hanno prevalso, e l’applauso finale [img_assist|nid=13035|title=|desc=|link=none|align=left|width=640|height=428]pareva dovuto solo al rigoroso rispetto a Nakata Hideo presente in sala. Certo, qui non si pretendeva un Dark Water, ma Nakata poteva portare a termine il compitino in modo meno stracco…

                 Per fortuna, la serata è stata salvata, come spesso accaduto in tante notti ‘storiche’ del festival, dal film popolare per antonomasia. Di solito thailandesi e filippini, come quei buontemponi di Sippapak o Eric Matti, avevano il compito di risollevare il morale della truppa turbata da altri blockbuster orientali senz’anima. Questa volta è toccato al primo film indonesiano nella storia del Festival, Quickie Express, diretto dall’impronunciabile Dimas Djayadiningrat. Grazie alla brillante sceneggiatura di Joko Anwar, presente in sala e a sua volta assai brillante sul palco in sede di presentazione, Quickie Express ha regalato un paio d’ore di allegria senza vergogna. Il film narra le vicende di tre novizi di un’agenzia di gigolò mascherati da pony express delle pizze, con buon ritmo (soprattutto nella prima mezz’ora) e gran colonna sonora. Non mancano gli equivoci classici della commedia sexy, e neanche le gag scatologiche assai diffuse a quelle latitudini, ma Quickie Express è ben superiore ad una somma di sketches, anche grazie a un finale imprevedibile e niente affatto moralista. L’Indonesia non poteva fare miglior debutto al festival del cinema popolare d’Oriente.