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Locarno: macchie di ruggine su un pardo senza artigli

ConSequenze
[img_assist|nid=8626|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]Dal nostro inviato a Locarno (Svizzera) - Amando follemente il cinema, potevamo non dare un’occhiata a quello che sta succedendo poco al di là del confine, dai nostri amici del Canton Ticino? Dal 1° all’11 agosto è in corso di svolgimento la sessantesima edizione del quarto festival cinematografico europeo per importanza.

Una storia di valore, quella della rassegna svizzera, fatta di anni di grandi scoperte, per un festival che si è formato pian piano, crescendo sempre più ed entrando nel cuore della gente e degli appassionati del settore. Cornice ideale, incastonata tra il verde delle colline/montagne alle spalle e l’azzurro del lago che gli si apre a fronte, questa simpatica cittadina è sempre stata il perfetto cilindro da cui estrarre chicche misconosciute e gioiellini nascosti o soffocati dal bulimico panorama artistico internazionale.

Dopo la direzione dell’italiana Irene Bignardi, la bacchetta da gran cerimoniere è passata a Frédéric Maire, uomo di grande spessore (fisico), che però non è riuscito a tenere autorevolmente le briglie di una manifestazione che è apparsa confusa, pasticciata e con molti possibili miglioramenti da apportare.

Partiamo da Piazza Grande, la perla della cittadina, uno spazio all’aperto veramente esteso che, con le migliaia di sedie gialle e nere a mantello di leopardo e l’immenso schermo, è uno scenario magnifico per il più bello e romantico cinema sotto le stelle che si possa immaginare. Peccato che tutto funzioni come un gran carrozzone, pensato più a far spettacolo e guadagno che rivolto alla fede degli spettatori; sedute scomodissime e troppo vicine, rumori di sottofondo dei bar/risoranti che rimangono aperti lungo i sottoportici, visibilità limitata da metà piazza in su, programmazione solo di film di grande richiamo (mentre[img_assist|nid=8627|title=|desc=|link=none|align=right|width=640|height=374] quelli in concorso non sono degni del salotto cittadino?). Insomma una cosa che va provata per poter dire io ci sono stato, ma che rappresenta più una seccatura che un piacere, più un atto trendy che cinefilo tout court; senza dimenticare che 20 euro per due proiezioni (13 per una!) in queste condizioni sono veramente troppi.

Altri problemi che zavorrano pesantemente la manifestazione sono le troppe variazioni di programmazione dell’ultim’ora, la mancanza di comunicazione efficace tra le varie sedi e di informazioni al pubblico e, cosa ancor più irritante, la questione sottotitoli. La lingua ufficiale del festival è il francese, ma ci aspetteremmo che, per una rassegna che si vuole internazionale, almeno l’inglese fosse una scelta imprescindibile, non un optional messo lì in base agli umori di chissà chi!

Fronte film: per quel che ho potuto guardare, avvertendo anche le sensazioni del pubblico, la qualità della selezione è stata abbastanza deludente; da rivedere e valutare con più tempo il piccolo film di Frank Oz (In & Out, Bowfinger, La donna perfetta), Death at a funeral, un’abile e gaia commedia nera basata tutta sul ritmo e su un ottimo cast. Oz ci ha confessato che è una grande gioia essere sull’enorme palcoscenico di questa Piazza per la prima volta, è più grande di quello che mi avevano raccontato e sono contento che un piccolo prodotto come questo possa giovarsi di uno schermo così”. Interessante il canadese Nos vies privées di Denis Coté (sezione Cineasti del Presente), film in digitale che racconta la storia di un incontro su internet tra due giovani immigrati (molto bravi i due protagonisti): una relazione che non può durare quando il sipario si apre sulla vita quotidiana di ciascuno. Il film, che probabilmente non aggiunge nulla di realmente nuovo sul rapporto di coppia e sull’epoca del virtuale, riesce però a raccontarci l’incontro e il successivo allontanamento (ma anche le differenze uomo/donna) rendendo il clima del miglior prodotto indipendente, con sensibilità autoriale e restituendo verità e freschezza alla finzione cinematografica. Sono pronto a scommettere su qualche premio per lui.

Nel complesso deludente Never sleeps, Cineasti del Presente: girato a sei mani, questo prodotto francese mostra qualche buon momento di regia ma si perde in una storia annacquata, noiosa e a tratti ridicola anche se l’assunto era interessante e poteva partorire una pellicola ben più incisiva (oggi la vita ci costringe a essere sempre in movimento, eppure le nostre vite spesso sono ferme, impaludate in un vuoto esistenziale).

Completamente da dimenticare il brasiliano Juízo di Maria Ramos, sul solito problema criminal-sociale del territorio e piattamente, quasi scandalosamente, televisivo e l’evento serale Planet terror del texano Robert Rodriguez (El Mariachi, Dal tramonto all’alba, Sin City) che ci dice con atteggiamento strafottente e capello nero da cowboy in testa amo questa gente e questo bellissimo posto in cui si proiettano bei film, importanti e intellettuali, anche se il mio non lo è: dove con Grindhouse: A prova di morte Tarantino ci consegnava un’opera con un forte impatto fisico, quasi dalla consistenza tridimensionale, perfetto omaggio a quel che voleva omaggiare, il suo antipaticissimo compare ci dà uno svogliato compitino, un’accozzaglia di violenza monotematica e unidimensionale che cerca lo stomaco dello spettatore e finisce per urtarne solo l’intelligenza e per tirare la corda dopo cinque minuti. Perfetto esempio per un competizione che quest’anno ci ha dato fatto vedere troppe ombre e poche luci.

Aspettiamo la proclamazione dei vincitori (il Pardo d’oro verrà annunciato l’11 agosto, mentre è stato consegnato il Pardo d’Onore al regista taiwanese Hou Hsiao-Hsien, ndr.), ma per noi il giudizio sul festival è: rimandato… al prossimo direttore!

 

Info: www.pardo.ch