[img_assist|nid=9852|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]UDINE – Martedì sera si è alzato il sipario sulla decima stagione del teatrone udinese con la nuova conduzione artistica del navigatissimo capitano Michele Mirabella. Il nostro, per l’occasione, ha fortemente voluto una solida, storica interprete come Mariangela Melato con il suo nuovo spettacolo, Sola me ne vo.
Attrice tra le più apprezzate e istrioniche del panorama artistico italiano, si è presentata al pubblico con un lieve ritardo dovuto ad un piccolo malore dell’ultimo momento; una fragilità fisica in linea con uno spettacolo che nelle intenzioni si presenta come un’autobiografia intima e sincera della donna Melato, prima che dell’attrice. Una confessione di quello che spesso si nasconde dietro l’effimera maschera del personaggio e l’esuberanza delle scenografie.
Condotto attraverso i retroscena rivelati di alcuni spettacoli, aneddoti di vita quotidiana (molto divertente la scenetta del giorno di pausa vissuto svaccatamente con birra in mano e panza all’aria), ricordi di un passato fatto di povertà ma intriso di passionalità e tanto amore per la vita e i legami affettivi e condito da musiche orecchiabili, canzoni (alcune delle quali in play-back) e balletti piacevolmente coreografati (di Luca Tommassini), l’one woman show, come tutti lo hanno definito, si è dipanato agile-agile attraverso la sua ora e tre quarti con pochi sobbalzi e tanta ruffiana carineria (il coinvolgimento del pubblico di prammatica in questi casi, il tormentone sull’uomo ideale e le parole in desinenza –udine,…). La grande Melato se l’è cavata piuttosto bene in uno spettacolo fatto più per divertire-rilassare lei stessa che per soddisfare appieno il pubblico; un gioco furbetto direbbero[img_assist|nid=9853|title=|desc=|link=none|align=right|width=425|height=640] i critici, studiato com’è per non scontentare nessuno e trovare un punto di contatto per tutti i gusti. Alcune cadute di tono e di stile nella costruzione dell’insieme (ad esempio un evidente risvolto fallico in una delle coreografie) non hanno disturbato la tranquillità di un tarallucci-e-vino-show che non ci ha detto quasi niente di nuovo sul fronte delle emozioni, eccezion fatta per una breve e superficialissima incursione sul terreno del doppio-attoriale (come convivere con l’altro me?) e per una parentesi drammatica sulla solitudine e sulle maschere, appunto, che dobbiamo indossare davanti al prossimo (momento estremamente intenso ed enunciativo dell’immenso carisma d’attrice della protagonista). Avremmo voluto rivedere l’ennesimo dramma per apprezzare la sottigliezza di sfumature che il corpo e il volto della Melato sanno regalare ai personaggi, oppure una commedia umana dalle solide fondamenta; forse sarebbe stata una scelta meno originale, ma sicuramente più convincente di questo ibrido che non ha mai avuto il coraggio di entrare sottopelle allo spettatore e navigare nei risvolti della personalità con solidità di scrittura. Tutto in punta di penna, ma senza poesia, pura frivolezza che non ha mai dato l’impressione della totale sincerità.