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Otello, dramma della gelosia al Giovanni da Udine

Sipario

[img_assist|nid=17583|title=|desc=|link=none|align=left|width=127|height=130]UDINE - Un uomo che amò con poca saggezza, ma disperatamente: sulle assi reclinate del pavimento Otello barcolla, lagnoso e rabbioso, ubriaco di gelosia per la sua Desdemona. Il sospetto e il tormento gli mangiano l’anima a poco a poco, come una lima che rode carni e ossa. E’ forse questo l’aspetto più significativo dell’Otello portato sul palco del Teatro Nuovo Giovanni da Udine dalla compagnia SiciliaTeatro: la resa, perfetta e calzante, del delirio, delle Cose dell’Amore capaci di uccidere, idealmente e fisicamente, un essere umano.

Merito dell’attore protagonista, Sebastiano Lo Monaco, istrione che sciorina per la gioia della platea (non sfugga qui un vago sottinteso ironico) tutto l’armamentario interpretativo possibile, dalla ridondanza degli scatti d’ira ai pianti soffocati, con calcati e (per la maggior parte) involontariamente comici echi gassmaniani.

Facile che i pregi diventino tuttavia difetti, perché l’Otello shakespeariano non è di certo un One Man Show o un monologo. Lo sapeva bene Orson Welles (famoso per i suoi eccessi da Titano del cinema) che riuscendo a tenersi a bada portò a casa nel 1952 la Palma d’Oro al Festival di Cannes con il suo[img_assist|nid=17584|title=|desc=|link=none|align=right|width=640|height=427] personale rifacimento della tragedia; e di sicuro lo sa altrettanto bene Roberto Guicciardini, regista della trasposizione vista qua a Udine, cui evidentemente dev’essere sfuggito qualcosa di mano. Non a livello tecnico, di certo, con uno stile accorto e perfino virtuoso nelle scene di montaggio alternato, e nella scelta di una scenografia scabra ma fortemente evocativa (sorvolando pur tuttavia sull’apparizione di un Cristo crocifisso nel momento in cui si consuma il tradimento di Iago).

E’ proprio a livello attoriale che questo Otello manca di incisività, perdendo via via il senso della follia collettiva che dovrebbe travolgere e sconvolgere i caratteri . Il Moro fagocita tutto, con gli effetti del caso: su tutti la presenza untuosa e minacciosa di Iago (il pur notevole Giacinto Palmarini), che odia senza movente e ci appare come un semplice burattinaio per amor di cattiveria. Iago manovra tutti come marionette, soggioga con troppa facilità, e in tal senso restano dimezzate le abilità da stratega volute per lui dalla scrittura originale di Shakespeare (datata 1603). Il resto crolla di conseguenza, con un Cassio al limite dell’inutilità, un Roderigo credulone troppo credulone e una Desdemona ridotta a semplice comprimaria, esile figurina sullo sfondo più che necessario (s)oggetto [img_assist|nid=17585|title=|desc=|link=none|align=left|width=640|height=391]d’amore e pomo della discordia della situazione. Con un Otello così teatrale ed esibizionista lo “spettacolo” resta comunque assicurato (come quando ammicca al pubblico con fare gigione interrogandoci direttamente: perché mi sono sposato?) e le quasi tre ore di rappresentazione perdono raramente d’interesse. Ma resta più di un dubbio sul fatto che la maggior parte del merito vada in realtà all’estro di William Shakespeare, che più di 400 anni fa vergava opere in grado di pungolare e stuzzicare con estrema arguzia e sagacia (e modernità, diciamo noi col senno di poi) gli istinti più bassi dell’uomo, di volta in volta smascherato e denudato nella sua perpetua meschinità. Mai dunque essere gelosi, per non inculcare malizia a proprio danno. Una regola che di sicuro continuerà a valere anche nei secoli a venire.