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Pattern asimmetrici

Ex Novo Musica 2010 - VII edizione

Venerdì 10 settembre 2010, ore 18:00

Sala Musica del Centro Vittore Branca, Fondazione Giorgio Cini, Isola di S. Giorgio - VENEZIA

Pattern asimmetrici: la lettura critica

a cura di Giada Viviani

Esempi musicali dal vivo a cura dell'Ex Novo Ensemble

Ingresso libero

Domenica 12 settembre 2010 ore 20:00

Sale Apollinee del Teatro La Fenice, Campo San Fantin 1965, San Marco - VENEZIA

Pattern asimmetrici: il concerto

Davide Teodoro clarinetto
Carlo Teodoro violoncello
Aldo Orvieto pianoforte
Preludio critico di Giada Viviani

eseguono Johannes Brahms, Trio in la minore op. 114
Allegro - Adagio - Andantino grazioso - Allegro
Henryk Mikolaj Górecki,  Recitatives and Ariosos "Lerchenmusik" op. 53 (1984)

Biglietti: interi 15 Euro, residenti a Venezia 10 Euro, studenti e soci Tci 5 Euro

L'artista dovrebbe solo garantire l'essenziale ed eliminare tutto il resto; in questo modo egli trasforma il reale in ideale. La frase appare, sottolineata dalla mano dello stesso Brahms, sulla pagina di un libro tra i tanti della sua enorme biblioteca, quel Faust. Der Tragödie dritter Teil del poeta e filosofo Friedrich Theodor Vischer, che rappresenta una versione tragicomica del Secondo Faust di Goethe. La frase descrive perfettamente la concezione estetica di Brahms, caratterizzante in particolare la sua ultima stagione creativa, che corrisponde ad un'intensa produzione cameristica. A partire dal 1880 nascono, infatti, le tre sonate per violino e pianoforte dell'op. 78, 100 e 108, la seconda sonata per violoncello in fa maggiore op. 99, i trii con pianoforte in do maggiore op. 87 e in do minore op. 101, i due quintetti per archi in fa maggiore e in sol maggiore, capolavori di perfezione e sobrietà mozartiana, cui fanno seguito negli anni Novanta quattro composizioni dedicate al clarinetto: il Trio in la minore op. 114, il Quintetto in si minore op. 115 e le due sonate op. 120, altrettanti gioielli, la cui cifra distintiva è proprio quella della concisione, della riduzione all'essenza.
Brahms, nella visione di Hanslick, nemico ricambiato di Wagner, rappresenta il legittimo erede del classicismo viennese; eppure il fascino della sua musica sta in quella certa inquietudine che pervade le forme tradizionali e si manifesta soprattutto in una segreta tensione volta a piegarle alle nuove necessità espressive del presente, a rinnovarle dall'interno attraverso un fine lavoro di cesello; lavoro che modifica con sublime originalità spesso un unico dato tematico generando inattesi sviluppi melodici e facendo scaturire una dialettica di caratteri contrastanti; riconducibili però sempre a pochi incisivi schemi intervallari con un procedimento che assicura dunque una meravigliosa unità formale all'opera.
La forma accademica e regolare di Brahms cela più di qualche ‘trasgressione' sia sotto l'aspetto metrico che armonico. Alla tradizionale partizione metrica binaria (per 2 battute o multipli di 2) si sostituisce un periodare asimmetrico che presenta un'originale strutturazione del discorso musicale, preludendo all'assoluta libertà dei compositori posteriori; l'armonia non è scevra da arditezze come le celebri progressioni ‘diagonali', procedimenti attraverso i quali una mutazione armonica (tradizionalmente intesa in senso ‘verticale') viene stemperata - appunto ‘diagonalmente' - nel tessuto musicale. A questa poetica fortemente sperimentale - dunque solo apparentemente contraddittoria - appartiene il trio brahmsiano, che costituisce la prima proposta di questa soirée musicale all'insegna appunto delle strutture musicali asimmetriche.

Si tratta del primo dei quattro lavori da camera con clarinetto cui si dedicò il compositore amburghese dopo aver conosciuto Richard Mühlfeld, clarinettista dell'orchestra di Meiningen dalle qualità eccezionali e dal temperamento verosimilmente alquanto singolare: musicista autodidatta, un giorno decise di abbandonare il gruppo dei violini, di cui inizialmente faceva parte, per passare alla sezione dei legni. Sta di fatto che Brahms rimase colpito dalle sonorità che Mühlfeld sapeva trarre dallo strumento con brillante abilità esecutiva, tanto da indurlo a cimentarsi ancora nella composizione di musica da camera, nonostante una sua recente dichiarazione, all'editore a cui aveva consegnato il manoscritto dell'op. 111, secondo la quale non avrebbe avuto altre energie da spendere dopo quest'ultima fatica, che doveva essere dunque considerata il suo testamento spirituale. Il clarinetto è il comune denominatore di questi lavori; lo stimolo di Mühlfeld coniuga mirabilmente la predilezione brahmsiana per le voci medie con un forte vigore creativo; la presenza del clarinetto viene percepita da Brahms come fonte di nuova linfa in grado di forzare la stereotipia degli organici strumentali.
Come sappiamo Brahms era solito lavorare parallelamente nello stesso tempo a due opere dello stesso genere ed è interessante notare come vi siano continui rimandi, travasi, soluzioni gemelle tra il Trio op. 114 e il Quintetto op. 115; ma quello che nel Quintetto è, come dire, risolto, definitivamente fissato sulla carta, nel Trio è sempre cercato, provato, tentato strada facendo, attraverso un lavoro accurato e paziente molto simile a quello di uno scultore, sempre a togliere, sino a delineare, dalla semplice delicatezza delle mescolanze, dal raffinato equilibrio del gioco formale, il cuore del problema, la pura essenza.

Quanto alla seconda composizione in programma, il lavoro fu commissionato al compositore polacco Henryk Mikolaj Górecki da Louise Lerche-Lerchenborg, vedova del compositore danese Poul Rovsing Olsen, nel 1983. La prima stesura dell'opera (1984) venne, però ritirata dall'autore stesso, evidentemente insoddisfatto, per sottoporla a revisione. La composizione riveduta fu eseguita nel 1985 nel corso del Warsaw Autumn Festival, per essere ancora rimaneggiata ed eseguita, nelle sua versione definitiva, l'anno successivo. Il trio, composto da tre movimenti piuttosto lenti, è concepito in modo da mettere in rilievo, in ogni movimento, uno dei tre strumenti in successione: il violoncello nel primo, il clarinetto nel secondo, il pianoforte nel terzo.
Il titolo sembra presupporre una parte vocale, pur non essendoci alcun testo affidato alla voce: sono gli strumenti che con grande espressività devono ‘parlare' anche attraverso una dinamica di estrema ampiezza, che va dal ppp al fff e oltre. Si tratta di un'imponente architettura musicale. Il primo movimento inizia con una distesa melodia affidata al registro grave del violoncello, scandita dalle ottave del pianoforte, che ha la durata di circa sette minuti. Ma l'atmosfera solenne che permane così a lungo si dissolve improvvisamente nell'esplosione, che introduce la sezione centrale del movimento, inesorabilmente aggressiva, formata dalla giustapposizione di brevi motivi in strutture ripetitive che procedono in modo asimmetrico. Gli accordi bitonali del pianoforte avvolgono di un'aspra risonanza la vibrante perorazione del clarinetto, che si basa su un motivo lidio di tre note (do-mi-fa#) con l'accompagnamento dalle stridenti figurazioni del violoncello. Poi si ritorna alla lenta solennità iniziale. Il movimento centrale inizia con un arioso d'intenso lirismo, intonato dal clarinetto, costruito sulla sequenza modale evidenziata in precedenza. Il pianoforte suona ripetuti accordi bitonali che variano, ma raramente. Il violoncello si unisce al clarinetto in terze dolcemente armoniose, ma poi il clima si fa più acceso (attraverso ruvidi intervalli di nona) al pari della dinamica, per ottenere la massima intensità espressiva. Il movimento finale è il più elaborato dei tre. Una dolce melodia intonata dal clarinetto e dal violoncello, molto distanziati, accompagnata da accordi ribattuti del pianoforte, conduce, come per magia, ad una citazione dal concerto per pianoforte e orchestra n. 4 di Beethoven. La musica continua con riferimenti a Messiaen (al Quatuor pour la fin du temps, che utilizza questi stessi tre strumenti con l'aggiunta di un violino) e al ‘motivo dell'uccello' che deriva dal nome della committente, Louise Lerche-Lerchenborg (‘Lerche' in ungherese significa ‘allodola'). Alla fine le armonie bitonali del pianoforte si risolvono in pure triadi, stabilendosi sull'accordo di la bemolle maggiore. Il pezzo si conclude con una interminabile eco del motivo lidio ricorrente in tutta la composizione. (Roberto Campanella) 

Scheda Evento

Location:
VENEZIA - location varie