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Romolo, pensare in grande nel piccolo del quotidiano

Sipario
[img_assist|nid=11231|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]UDINE – Con Romolo, il grande Friedrich Dürrenmatt ha scritto una commedia teatrale di chiaro intento critico-satirico, infarcendola di risvolti sapidi e grotteschi. La storia si svolge in prossimità della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, minacciato dalle truppe dei Germani guidate dal prode Odoacre. Roma, retta dall’Imperatore Romolo si vede costretta ad un’improbabile resistenza, condotta in modo del tutto anarchico e abulico dallo stesso Imperatore.

Egli, infatti, preso atto del disfacimento dell’antica potenza e insensibile alle suppliche di sua moglie, che tenta di risollevare il suo orgoglio per l’ultima e onorevole resistenza, è un uomo che non vuole più corrispondere alle aspettative e alle richieste di dominio dei Romani: un pazzo che alleva galline, un burattino apparentemente rimbambito, disprezzato da tutti per la sua debolezza nel comando. In realtà, la maschera del pazzo è solo una simulazione e serve ad esprimere il suo rifiuto; Romolo vuole il declino del mondo nel quale vive perché non crede più negli ideali di tale mondo e non vede che il loro rovescio e i crimini con i quali essi vengono favoriti (R. Guicciardini).

Romolo vuole la distruzione del suo Impero non perché lo odia, ma perché ne è innamorato e capisce quanto sia marcio e anacronistico, vissuto e basato sulle lotte, le violenze e le depravazioni della conquista e non su ciò che lo rendeva veramente grande, cioè l’arte e la cultura. Il suo progetto, messo in pratica con una (apparentemente) dissennata organizzazione del comando e una[img_assist|nid=11232|title=|desc=|link=none|align=right|width=640|height=384] (apparentemente) folle vita casalinga, è quello di distruggere quello che fu un grandioso impero dall’interno e dall’alto della sua posizione, per farlo rinascere ex-novo.

Due ore di spettacolo intelligente e dai nobili intenti, che nel primo atto trova qualche difficoltà nel cercare un equilibrio tra grottesco e satira, disperdendo la vena di irrisione e critica del testo e dimostrando alla lunga una certa stanchezza nel ritmo, per un risultato raramente divertente.

Molto meglio il secondo atto, dove si aggiunge alla struttura un tocco drammatico che dona spessore e garantisce una sferzata di energia fresca a tutta la pièce.

Bravi gli interpreti (M. Rigillo – Romolo, A. T. Rossini – Giulia, sua moglie, N. D’Eramo – Cesare Rupf), ma la regia di R. Guicciardini è parsa un po’ troppo approssimativa e ripetitiva, mentre il testo merita di essere approfondito meglio/diversamente nella sua interessantissima componente pacifista e anti-istituzionalista, oltreché per la sua vena irridente.

Una sufficienza troppo stretta per un materiale potenzialmente molto più importante.