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Seigradi, riflessione e trasformazione

Sipario

[img_assist|nid=16123|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]UDINE - La genesi, la trasformazione, elementi primari e musiche sintetiche. Questi gli ingredienti di Seigradi. Non uno spettacolo da poltrone comode, piuttosto un fenomeno da osservare attentamente in piedi, in un luogo dove farsi avvolgere dalla metamorfosi di se stesso.

Sei gradi (centigradi) è la soglia oltre la quale il pianeta rischierebbe la desertificazione e gli autori dell'installazione-spettacolo, inserito in cartellone sabato 22 novembre al Palamostre grazie al coraggio scenico del Css, lo hanno evidenziato con luci, suoni e movimenti.

Un totale senso di disorientamento e curiosità accompagna lo spettatore per tutti i 45 minuti della performance che si sviluppa attraverso immagini 3D, ologrammi e body art curata dalla formazione romana Santasangre, uno dei fenomeni della scena indipendente italiana.

L'iter scenografico è quello della genesi-acqua-vita-fuoco-distruzione-speranza. L'ultimo anello della catena è, appunto, la speranza di salvezza della terra che, dopo la desertificazione potrebbe vedere nuovamente la luce grazie all'elemento primario dell'acqua capace di regalare al pianeta nuova energia vitale. Non solo catastrofe, dunque ma un futuro possibile. La[img_assist|nid=16124|title=|desc=|link=none|align=right|width=427|height=640] linea drammaturgica segue principalmente quattro movimenti propri della struttura sinfonica operistica, mentre l'elaborazione visiva produce la struttura armonica del discorso (introduzione/ esposizione/ sviluppo/ripresa).

Le nuove tecnologie caratterizzano palesemente questo spettacolo, capace di amalgamare le emozioni alla molteplicità di segni e linguaggi.

Sulla scena un'unica presenza fisica, creatura che subisce continue metaforfosi, una scultura mobile che subisce ed esegue un concerto di voce e musiche sintetiche.

L'idea, nata dalla creatività sinergica di Diana Arbib, Luca Brinchi, Maria Carmela Milano, Dario Salvagnini, Pasquale Tricoci, Roberta Zanardo, fa parte di una serie di creazioni titolate Studi per un teatro apocalittico, in cui lo stage diventa fotogramma del futuro. Le immagini tridimensionali interpretano la natura nel suo senso più “sintetico”, grazie alla partitura di suono, movimento, forme e immagini.

L'elemento principale, l'acqua, subisce una metamorfosi materializzandosi in scena in tutte le sue forme, cascate, gocce, mare, mentre la danza irregolare della protagonista rappresenta la genesi e la trasformazione allo stato puro, una forma di vita che subisce la natura pur essendone protagonista. Il fuoco distruggerà lei e tutto ciò che la circonda fino a farla “evaporare” e lasciare, dietro di sé, il deserto. Non un epilogo ma un nuovo inizio. Quando tutto sembra morire, fuori un microcosmo metafora dell'infinito e della sua perfezione si mantiene in vita. Il tracciato artistico svuota il corpo in scena e il residuo che rimane è un'origine, un nuovo principio d'azione.