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Vicky Cristina Barcelona, la firma sul declino di Woody

ConSequenze

[img_assist|nid=15363|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]E’ un compito ingrato, ma qualcuno lo dovrà pur dire: Woody Allen ci sta (cinematograficamente) lasciando. La critica tende ad essere indulgente, di film in film, a salvare in extremis anche i suoi ultimi lavori. Un omaggio che si fa per rispetto, per affetto, ben consapevoli che il buon Woody è stato uno degli autori imprescindibili della Settima Arte.

Ma è proprio in ossequio ai suoi veri capolavori del passato (una lista di 40 anni di carriera, di cui il sottoscritto si limita a nominare i suoi favoriti: Il Dormiglione, Io e Annie, Zelig, Crimini e Misfatti, Harry a Pezzi) che non si può fare a meno di rimarcare la pochezza attuale del suo cinema, la vena inaridita e poco ispirata dei suoi contemporanei ragionamenti. Qualcuno ha scritto che Vicky Cristina Barcelonaferma il declino” del maestro Allen; noi, più drasticamente, tendiamo a sostenere che la sua più recente opera sia semmai una firma del suo decadimento.

Lontani i fasti dell’umorismo malinconico, delle parodie esilaranti e delle gag verbali nonsensiche, Woody diviso da New York si è scoperto più cupo, disilluso e pessimista, assorbendo anche l’umore del paese che recentemente gli aveva dato asilo, l’Inghilterra. Mutatis mutandis ecco ora la Spagna, terra di sangue caliente, di carnalità e sregolatezza nella visione da stereotipo del demiurgo Allen.

Sotto il sole del Mediterraneo si svolge il seguente triangolo:[img_assist|nid=15364|title=|desc=|link=none|align=right|width=640|height=471] Juan Antonio (Bardem), pittore disinibito e sciupafemmine, conosce e circuisce due giovani turiste americane, la mora e perbenista Vicky (Rebecca Hall) e la bionda e libertina Cristina (Scarlett Johansson). Nel turbinio passionale che ne consegue subentra poi Maria Elena (Penelope Cruz, la più brava del gruppone, anche perchè favorita da un personaggio che necessita di spiccata personalità), ex moglie di Juan Antonio fragile e loca, reduce dall’ennesimo tentativo di suicidio. Più che un triangolo un quadrangolo dunque, anche se a turno una delle tre scende dalla giostra lasciando spazio all’evoluzione degli altri caratteri. La pur accattivante idea di filmare l’assurdo e vano delirio dei sentimenti e la valida morale di fondo (perché alla fine ognuno, dopo aver cercato di essere diverso da se stesso, riconferma i propri pregiudizi), è ahinoi costantemente castrata dai macroscopici handicaps della messinscena. Vicky Cristina Barcelona dà quella avvilente [img_assist|nid=15365|title=|desc=|link=none|align=left|width=640|height=479]sensazione di essere stato girato con poca cura, badando poco alla stanchezza e alla ripetitività delle scene che si susseguono. Il film va avanti macchinoso, didascalico e del tutto accondiscendente verso i risaputi cliché del suo regista. Se gli estenuanti dialoghi (fatti per personaggi 30enni ma scritti da un Woody Allen che di anni ne ha 73, e si sente) appesantiscono la visione, è la voce fuoricampo ad ucciderla del tutto: onnipresente, fastidiosa e superflua, simbolo forse dell’insicurezza dell’autore, che oramai ha poco da dire. E lo fa male.

Dal naufragio si salvano gli attori e il confronto americani-europei (da un lato uomini soporiferi votati al lavoro e al golf, dall’altro artisti imprevedibili, geniali e amanti della vita), critica impietosa che affiora qua e là nella noia generale della pellicola, che forse voleva assomigliare ad un documentario, e che invece si avvicina di più a un Bignami, quei libricini riassuntivi che restano in superficie senza approfondire gli argomenti. La netta sensazione è che l’inaspettato splendore di Match Point (2005) più che una rinascita artistica sia stato l’inevitabile e definitivo “canto del cigno” di Woody Allen. Speriamo sinceramente di sbagliarci.