Giorgio Albertazzi protagonista de La casa di Ramallah al Politeama Rossetti
Foyer
[img_assist|nid=28199|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]TRIESTE - La scrittura metafisica di Antonio Tarantino, le personalità di un grande maestro della scena come Giorgio Albertazzi e di Marina Confalone, a cui si affianca Deniz Ozdovgan, sono materia del linguaggio scenico concepito da Antonio Calenda per La casa di Ramallah.
Lo spettacolo – che ha da poco debuttato con successo in prima nazionale al Teatro India, nell’ambito della stagione del Teatro di Roma – è la nuova produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, che rivolgendosi alla scrittura ricca di suggestioni di Antonio Tarantino affronta i temi delicatissimi e necessari dell’estremismo islamico e del terrorismo.
Quando si esplode il tuo corpo si divide in un milione, in un miliardo di frammenti ciascuno dei quali, per una legge fisica, conserva le qualità del tutto: udito vista eccetera, e la facoltà di pensare di parlare di riferire: un miliardo di testimoni, insomma, dell’evento della creazione, dell’esplosione originaria (…) Io, che ormai sono un miliardo di miliardi di particelle che vagano, vedo tutto e di tutto posso dar conto: e cioè che dio non esiste, che pace e guerra sono destinate a inseguirsi nel cerchio rovente del tempo, come s’inseguono amore e odio, salute e malattia, giorno e notte, sole e pioggia, padri e figli, noi e loro, la loro storia e la nostra: e nessuno ha ragione, completamente ragione, né completamente torto.
Nel testo surreale, significativo, inquietante di Antonio Tarantino, può accadere che una kamikaze, dopo essersi fatta esplodere, torni a portare questo crudo messaggio ai suoi genitori e al mondo.
La casa di Ramallah narra un viaggio attraverso la Palestina martoriata: un padre e una madre trascorrono le ultime loro ore con la figlia Myriam, percorrendo la strada che li conduce dove si compirà il suo destino di kamikaze. Il treno su cui i tre viaggiano, annulla la distanza di pensiero fra la nostra realtà e quella del mondo arabo. Il dialogo irragionevole eppure toccante fra i tre, fitto, dolente, pieno di autosuggestioni e fanatismi, ma anche di verità del cuore, incatena l’attenzione del pubblico, forse sconvolto da genitori che accondiscendono a una simile scelta, forse ferito da immagini cui quotidianamente assistiamo in tv ma che probabilmente, attraverso il linguaggio teatrale, ci colpiscono con maggior violenza.
Non è uno spettacolo pacificante, dunque, quello che Antonio Calenda ha realizzato, dando corpo alla scrittura di Tarantino, uno dei più significativi drammaturghi contemporanei.
I protagonisti, una ragazza, il padre e la madre, sono gente povera, [img_assist|nid=28200|title=|desc=|link=none|align=right|width=640|height=386]semplice: la coppia, come detto, attraversa la Palestina per accompagnare l’unica figlia nel luogo dove compirà un attentato contro Israele, facendosi esplodere.
La storia è brutale, dura; il dialogo dei tre nell’angusto scompartimento del treno su cui viaggiano (la scena è del triestino Pier Paolo Bisleri), è claustrofobico, teso, talvolta anche ironico, solo sfiorato da qualche tenerezza, e – negli accenti della ragazza – drammatico.
I genitori intrecciano le riflessioni sulla guerra, il racconto dei loro morti, degli sfregi subiti, a quello dei piccoli fatti quotidiani, come se avessero ormai accondisceso a vivere così… Si perdono fra i ricordi del loro primo incontro nella Piana di Thamma, dove raccoglievano pomodori per radunare qualche risparmio, vagheggiano ancora una casa bianca a Ramallah, da cui poter vedere il mare.
Alla figlia, poco più di una bambina, anche questa poca tenerezza è stata negata, assieme ai sogni, alle utopie e lo si sente, dalla violenza delle sue parole, dal tono crudo e spietato dei suoi racconti. Spietato come tutto ciò che ha dovuto subire dall’”organizzazione” che l’ha preparata a immolarsi per un Dio giovane, che è il migliore – le suggeriscono negli ultimi inumani istanti prima dell’esplosione – perché ha quattromila anni meno di quello degli avversari…
Estremismo, odio, annullamento della volontà: nell’unico istante in cui la ragazza vorrebbe voltare le spalle al suo ruolo di vittima sacrificale, è il destino a tarparle le ali e a chiuderle la via della fuga.
Non c’è consolazione nella scrittura straripante, ossessiva di Tarantino, ma un guardare alla realtà da un punto di vista forse provocatorio, ma necessario, singolare, visionario ma anche vero: nel suo percorso attraverso la drammaturgia d’autore vivente Antonio Calenda ha voluto dare spazio e sostanza scenica a questo suo coraggioso sguardo sulla storia. Una storia che, anch’essa, davanti all’assurdità della guerra e della violenza, perde di significato. Giorgio Albertazzi è il padre, Marina Confalone interpreta la madre e Deniz Ozdogan la giovane kamikaze.
Quando si esplode il tuo corpo si divide in un milione, in un miliardo di frammenti ciascuno dei quali, per una legge fisica, conserva le qualità del tutto: udito vista eccetera, e la facoltà di pensare di parlare di riferire: un miliardo di testimoni, insomma, dell’evento della creazione, dell’esplosione originaria (…) Io, che ormai sono un miliardo di miliardi di particelle che vagano, vedo tutto e di tutto posso dar conto: e cioè che dio non esiste, che pace e guerra sono destinate a inseguirsi nel cerchio rovente del tempo, come s’inseguono amore e odio, salute e malattia, giorno e notte, sole e pioggia, padri e figli, noi e loro, la loro storia e la nostra: e nessuno ha ragione, completamente ragione, né completamente torto.
Nel testo surreale, significativo, inquietante di Antonio Tarantino, può accadere che una kamikaze, dopo essersi fatta esplodere, torni a portare questo crudo messaggio ai suoi genitori e al mondo.
La casa di Ramallah narra un viaggio attraverso la Palestina martoriata: un padre e una madre trascorrono le ultime loro ore con la figlia Myriam, percorrendo la strada che li conduce dove si compirà il suo destino di kamikaze. Il treno su cui i tre viaggiano, annulla la distanza di pensiero fra la nostra realtà e quella del mondo arabo. Il dialogo irragionevole eppure toccante fra i tre, fitto, dolente, pieno di autosuggestioni e fanatismi, ma anche di verità del cuore, incatena l’attenzione del pubblico, forse sconvolto da genitori che accondiscendono a una simile scelta, forse ferito da immagini cui quotidianamente assistiamo in tv ma che probabilmente, attraverso il linguaggio teatrale, ci colpiscono con maggior violenza.
Non è uno spettacolo pacificante, dunque, quello che Antonio Calenda ha realizzato, dando corpo alla scrittura di Tarantino, uno dei più significativi drammaturghi contemporanei.
I protagonisti, una ragazza, il padre e la madre, sono gente povera, [img_assist|nid=28200|title=|desc=|link=none|align=right|width=640|height=386]semplice: la coppia, come detto, attraversa la Palestina per accompagnare l’unica figlia nel luogo dove compirà un attentato contro Israele, facendosi esplodere.
La storia è brutale, dura; il dialogo dei tre nell’angusto scompartimento del treno su cui viaggiano (la scena è del triestino Pier Paolo Bisleri), è claustrofobico, teso, talvolta anche ironico, solo sfiorato da qualche tenerezza, e – negli accenti della ragazza – drammatico.
I genitori intrecciano le riflessioni sulla guerra, il racconto dei loro morti, degli sfregi subiti, a quello dei piccoli fatti quotidiani, come se avessero ormai accondisceso a vivere così… Si perdono fra i ricordi del loro primo incontro nella Piana di Thamma, dove raccoglievano pomodori per radunare qualche risparmio, vagheggiano ancora una casa bianca a Ramallah, da cui poter vedere il mare.
Alla figlia, poco più di una bambina, anche questa poca tenerezza è stata negata, assieme ai sogni, alle utopie e lo si sente, dalla violenza delle sue parole, dal tono crudo e spietato dei suoi racconti. Spietato come tutto ciò che ha dovuto subire dall’”organizzazione” che l’ha preparata a immolarsi per un Dio giovane, che è il migliore – le suggeriscono negli ultimi inumani istanti prima dell’esplosione – perché ha quattromila anni meno di quello degli avversari…
Estremismo, odio, annullamento della volontà: nell’unico istante in cui la ragazza vorrebbe voltare le spalle al suo ruolo di vittima sacrificale, è il destino a tarparle le ali e a chiuderle la via della fuga.
Non c’è consolazione nella scrittura straripante, ossessiva di Tarantino, ma un guardare alla realtà da un punto di vista forse provocatorio, ma necessario, singolare, visionario ma anche vero: nel suo percorso attraverso la drammaturgia d’autore vivente Antonio Calenda ha voluto dare spazio e sostanza scenica a questo suo coraggioso sguardo sulla storia. Una storia che, anch’essa, davanti all’assurdità della guerra e della violenza, perde di significato. Giorgio Albertazzi è il padre, Marina Confalone interpreta la madre e Deniz Ozdogan la giovane kamikaze.
Nato a Bolzano Antonio Tarantino ha studiato all’istituto d’arte applicata, giungendo alla drammaturgia solo molto in seguito e da autodidatta. Per la prima parte della sua vita artistica e professionale si è infatti dedicato con profonda passione al disegno, applicandosi poi alla pittura, dapprima figurativa poi concepita secondo una forma da lui stesso definita “di pittura materia e aniconica”.
La scrittura teatrale lo conquista ormai superati i cinquant’anni, in una fase di pensiero e di stile maturi, e la sua drammaturgia sgorga quindi da una necessità interiore profonda, che si intuisce nei suoi lavori e che incanta il pubblico. Il suo primo testo è Stabat Mater, subito seguito da Passione secondo Giovanni: entrambi ricevono l’ambìto Premo Riccione. Vespro della Beata Vergine e Lustrini sono le creazioni successive: messe in scena – assieme alle prime due – dal regista Cherif al Teatro Valle di Roma, hanno meritato il Premio Ubu 1998.
Gli stessi riconoscimenti (Premio Riccione del cinquantenario e l’Ubu per la messinscena di Cherif al Piccolo Teatro di Milano nel 2000) gli sono valsi per Materiali per una tragedia tedesca, complesso affresco che racconta alcuni eventi della Germania degli anni Settanta.
Nel 2000 il Centro Servizi e Spettacoli di Udine gli commissiona Stranieri, cui segue – con un primo debutto sulla scena nel 2004, al Festival di Benevento firmato da Paolo Coletta – La casa di Ramallah. Nello stesso anno esordisce in forma di lettura a cura di Werner Wass anche La Pace, commedia che porta in scena coraggiosamente come protagonisti Arafat e Sharon. A questi titoli segue Conversazioni sul tema della banda Baader-Meinof. Recenti sono i testi Trattato di pace (2005) e Non è che un piccolo problema che raccoglie cinque scritti che trattano del morire e del nascere.
Lo spettacolo va in scena al Politeama Rossetti da martedì 18 a domenica 23 maggio alle ore 20.30, le pomeridiane sono mercoledì e domenica alle ore 16.
La scrittura teatrale lo conquista ormai superati i cinquant’anni, in una fase di pensiero e di stile maturi, e la sua drammaturgia sgorga quindi da una necessità interiore profonda, che si intuisce nei suoi lavori e che incanta il pubblico. Il suo primo testo è Stabat Mater, subito seguito da Passione secondo Giovanni: entrambi ricevono l’ambìto Premo Riccione. Vespro della Beata Vergine e Lustrini sono le creazioni successive: messe in scena – assieme alle prime due – dal regista Cherif al Teatro Valle di Roma, hanno meritato il Premio Ubu 1998.
Gli stessi riconoscimenti (Premio Riccione del cinquantenario e l’Ubu per la messinscena di Cherif al Piccolo Teatro di Milano nel 2000) gli sono valsi per Materiali per una tragedia tedesca, complesso affresco che racconta alcuni eventi della Germania degli anni Settanta.
Nel 2000 il Centro Servizi e Spettacoli di Udine gli commissiona Stranieri, cui segue – con un primo debutto sulla scena nel 2004, al Festival di Benevento firmato da Paolo Coletta – La casa di Ramallah. Nello stesso anno esordisce in forma di lettura a cura di Werner Wass anche La Pace, commedia che porta in scena coraggiosamente come protagonisti Arafat e Sharon. A questi titoli segue Conversazioni sul tema della banda Baader-Meinof. Recenti sono i testi Trattato di pace (2005) e Non è che un piccolo problema che raccoglie cinque scritti che trattano del morire e del nascere.
Lo spettacolo va in scena al Politeama Rossetti da martedì 18 a domenica 23 maggio alle ore 20.30, le pomeridiane sono mercoledì e domenica alle ore 16.
Stagione Teatrale 2009-2010
Dal 17 al 23 maggio 2010, ore 20.30
Mercoledì 19 maggio e domenica 23 maggio solo alle ore 16:00
Politeama Rossetti, Viale XX Settembre, 45 - TRIESTE
La casa di Ramallah
di Antonio Tarantino
di Antonio Tarantino
con Giorgio Albertazzi, Marina Confalone, Deniz Ozdogan
Scene di Pier Paolo Bisleri
Costumi di Elena Mannini
Musiche di Germano Mazzocchetti
Regia di Antonio Calenda
Una produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
Biglietti: da € 13.00 a € 29
Info: Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia
Biglietti: da € 13.00 a € 29
Info: Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia
tel. 0403593511