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Allarme zecche: presentata la mappa delle zone a rischio

Ateneo giuliano
TRIESTE - Presentati presso la Sala Cammarata dell'Università di Trieste i risultati di un progetto Interreg realizzato da ricercatori dell'ateneo giuliano e dell'Università di Lubiana, in collaborazione con le guardie del Corpo forestale sloveno.
Sono presenti, tra gli altri, il prorettore dell’Università di Trieste, prof. Fabio Ruzzier, la responsabile del progetto, prof.ssa Marina Cinco, microbiologa del Dipartimento di Scienze biomediche dell'Università di Trieste e il dott. Alfredo Altobelli, ecologo del Dipartimento di Biologia dell'Università di Trieste.

In anni recenti, parecchie malattie trasmesse da vettori (tra cui le zecche) sono riemerse e si sono diffuse in Europa e altrove con rilevanti conseguenze sul piano sanitario, economico e sociale. Nella maggior parte dei casi ciò è legato a cambiamenti locali o globali, quali il clima e il diverso impatto esercitato dall’uomo sull’ambiente. Diventa pertanto importante catalogare, negli ecosistemi europei, le variazioni ambientali che possono influenzare la distribuzione spaziale e temporale di agenti patogeni trasmessi mediante vettori.
 

Le zecche della specie “Ixodes ricinus” fungono da vettori che condizionano la trasmissione di agenti patogeni quali “Borrelia burgdorferi” (malattia di Lyme) “virus Tbe” (encefalite virale), “Anaplasma phagocythophilum” (anaplasmosi) e “Rickettsia spp” (rickeziosi) e la loro presenza determina il grado di rischio alla trasmissione dell’infezione. Con lo scopo di mappare il territorio costituito dal Friuli Venezia Giulia e dalla fascia transfrontaliera Italia/Slovenia in relazione al rischio di essere infettati, tramite il morso di zecca, da agenti di malattie quali morbo di Lyme, encefalite virale, anaplasmosi e rickeziosi, è stato realizzato questo progetto, sostenuto dalla Comunità europea nell’ambito del Programma comunitario Interreg III Italia/Slovenia e attuato nell’arco di 24 mesi nel periodo 2005-2006. L’elaborazione dei dati è terminata nel giugno del 2007.

Hanno lavorato alla realizzazione del progetto la prof.ssa Marina Cinco, microbiologo del Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Trieste (responsabile del progetto insieme alla Dott. Romina Floris), il dott. Alfredo Altobelli, ecologo del Dipartimento di Biologia dell’Università di Trieste (insieme a Katja Mignozzi e Barbara Boemo), il dott. Franc Strle, Department of Infectious Diseases, University Medical Center Ljubljana, la dott.ssa Eva Ruzic-Sabljic, Dept. of Microbiology and Immunology, University of Ljubljana e un gruppo di borsisti e dottorandi dei dipartimenti dell’Università di Trieste. Michele Zanini ha creato il sito on-line http://dfp.units.it/spirochete/indice.htm (che presenta i risultati del progetto), mentre le guardie del Corpo forestale sloveno hanno dato il loro prezioso contributo.

Modalità di attuazione del progetto e risultati

Nella prima fase i ricercatori hanno provveduto a raccogliere zecche in alcune aree del territorio, selezionate sulla base delle loro caratteristiche dal punto di vista del clima e della vegetazione, oltre che rappresentative di 4 principali aree biogeografiche. In queste stazioni le campagne di raccolta sono state organizzate tre volte all’anno (primavera, estate, autunno). In tutti gli esemplari raccolti sono stati ricercati gli agenti infettanti mediante tecniche biomolecolari di “Pcr” ed è stato calcolato l’indice di rischio territoriale, ossia il numero di zecche infette per 100 mq di territorio esaminato. E’ risultato che il rischio si distribuisce diversamente a seconda del vari agenti infettanti ricercati: per “B. Burgdorferi”, agente della malattia di Lyme, esso è massimo nel Carso triestino e goriziano transfrontaliero (20-18 zecche /mq), seguito dall’ambiente prealpino; è invece basso (Kranjska Gora, Socchieve) se non addirittura nullo (Valcanale, Val Pesarina) nell’ambiente alpino. Il numero delle zecche infette è stato sempre maggiore nella stagione primaverile.

Premesso che questo è il primo studio in cui si evidenzia il virus Tbe nel vettore zecca nella nostra regione ed è anche il primo rapporto documentato sul fronte di avanzata (o ritiro) dell’infezione virale nel Sud Europa; il rischio infezione da virus Tbe è rilevante lungo la fascia transfrontaliera, soprattutto in territorio sloveno. Meno diffusa risulta la presenza degli altri due agenti patogeni, e cioè di “Anaplasma phagocytophilum” e “Rickettsia”. Di questi, il secondo presenta indici di rischio variabili da 0 a 4.6, con una distribuzione territoriale disomogenea e in accordo con l’esiguo numero di casi umani attribuibili a questi patogeni. L’area di maggior prevalenza sembra comunque essere la zona centrale del Friuli Venezia Giulia, a cavallo tra la fascia alpina e prealpina. Poiché è importante calcolare il rischio sul territorio nello spazio e nel tempo, il confronto delle percentuali di infettività per il biennio 2005-2006 evidenzia un incremento della presenza di Rickettsia in tutta l’area oggetto di rilevazione, in particolare nella fascia prealpina, mentre, nei due anni esaminati, non si riscontrano variazioni nella presenza di “B. Burgdorferi”.

Produzione, attraverso tecniche Gis e Telerilevamento, di un modello territoriale di rischio potenziale

I dati epidemiologici, riguardanti l’infettività da “Borrelia burgdorferi”, sono stati correlati con i principali fattori ecologici che ne condizionano la distribuzione. Attraverso l’analisi statistica multivariata è stato ricavato un modello che ha permesso, attraverso le tecniche Gis, di spazializzare il rischio potenziale d’infezione da “Borrelia burgdorferi” per tutta la regione Friuli Venezia Giulia. I parametri ambientali significativi nel modello, sono la quantità e densità della vegetazione, temperatura superficiale, umidità superficiale, fisionomia della vegetazione, risorse trofiche (abbondanza di caprioli), altitudine e media annuale della temperatura. I primi tre parametri sono stati ottenuti dai dati satellitari che permettono una copertura molto ampia del territorio e un monitoraggio continuo. Il modello individua nell’area del Carso goriziano e triestino la zona più rischiosa di contrarre la malattia e, tra i fattori ambientali considerati, un peso maggiore lo assumono la presenza dei caprioli e la temperatura media annuale. Studi di questo genere acquistano maggiore significato se predisposti in chiave statistico-temporale al fine di monitorare l’evolversi, o meno, del rischio zecche sul territorio regionale e transfrontaliero. Sarebbe quindi opportuno riproporli annualmente, per almeno un lustro, in modo da valutare, anche in prospettiva, l’effettiva incidenza del fenomeno.