Rose, nelle sue pagine, catturò con furbizia e genialità di scrittura i nascenti moti cultural-rivoluzionari, inserendoli nella sempre più attuale frattura tra il mondo dei genitori e quello dei figli, e lo fece in punta di penna, risvegliando curiosità in ogni tipo di spettatore (ognuno si può ritrovare in qualche personaggio) senza mai traumatizzarlo più di tanto (tutti alla fine capiscono e accettano il linguaggio universale dell’amore).
Una commedia già piuttosto teatrale, che è stata trasportata sul palco dalla fresca mano registica di Patrik Rossi Gastaldi. Abile nello sfruttare lo spazio scenico senza troppe ripetizioni o sovrapposizioni, giocando e giostrando le scene con i giusti tempi (ora comici, ora drammatici) e con un ottimo uso delle luci. La partita più pericolosa da vincere era, visto il confronto con i predecessori cinematografici, la scelta dei protagonisti; scelta rivelatasi non solo vincente, ma a tratti emozionante oltre ogni aspettativa. Gianfranco D’Angelo, affrancatosi dal suo passato comico (indimenticabile mattatore di glorie televisive del passato televisivo come Drive-In), dimostra superba disinvoltura nel passare da un registro all’altro, non rinunciando ad eleganti e pertinenti rimandi alla sua[img_assist|nid=11501|title=|desc=|link=none|align=right|width=640|height=427] precedente carriera. Ivana Monti, vera signora di raffinata tecnica, è sempre veritiera nel tratteggiare con pochi accenni caratteri e istinti (più o meno trattenuti) della moglie. Bravi i due figli (tra i quali riconosciamo Lidia Cocciolo, una ex amica di Maria De Filippi: bella, vivace, allegra), ma un plauso va sicuramente concesso alla coppia di colore che offre un’interpretazione semplicemente magnifica, orgogliosa e dalle infinite sfumature (Mari Hubert, che attrice superlativa!).
Concludendo, è stata sicuramente una bellissima serata di teatro, ricca di conferme, sorprese e mal celate emozioni (divertente e non di rado realmente commovente).
Prima dell’inizio abbiamo incontrato il protagonista, Gianfranco D’Angelo, per fare qualche riflessione insieme:
Gianfranco D’Angelo: - L’argomento, benché possa apparire superato, non è assolutamente risolto. Il problema del razzismo non è solo un fatto di colore ed esiste forse ancor più che quarant’anni fa. La commedia poi è in sé molto bella, derivando da un film e una sceneggiatura premio Oscar; noi l’abbiamo resa un po’ più scarna, adattata al teatro, resa in certi punti forse un pizzico più brillante, ma abbiamo rispettato il testo originale il più possibile.
Gianfranco D’Angelo: - Molto. In questo caso la forza delle tematica e la fama del titolo hanno fatto la differenza. Non sempre però uno indovina. Oggi il teatro è una cosa molto difficile, la gente sta molto attenta prima di spendere, di uscire per andare a vedere uno spettacolo. Bisogna cercare di andare incontro anche ai desideri del pubblico, sebbene senza troppe concessioni. Accontentare la voglia degli spettatori dandogli un prodotto che stimoli, aiuti a riflettere; riproporre attualmente farse alla Feydeau è un atto fine a se stesso, il pubblico è più esigente di un tempo… non basta una porta che si apre e si chiude per creare l’equivoco: sì, ci si diverte, ma è superato, si rimane un po’ scontenti.
Gianfranco D’Angelo: - Guarda… questo io lo dovrei chiedere a te e tutti e due lo dovremmo chiedere a chi dirige la televisione. Non so dare una risposta, mi pongo la stessa domanda che mi fai. Tutto oggi viene giustificato con l’audience; se fai una trasmissione che ottiene i numeri che gli sponsor avevano messo sul contratto, qualsiasi sia la qualità, va bene altrimenti viene cancellata. E’ tutto senza pietà. Non so perché oggi, spesso, anche i talenti vengono dimenticati e si mandano avanti i bluff. Questo avviene sicuramente anche perché si sottovaluta il telespettatore; si pensa che arriva a casa, seduto in poltrona e gli puoi dire quattro cose e lui sorride, si distrae, non capisce… non e’ vero, anche le persone più semplici, anche quelle che magari non capiscono immediatamente, poi ci pensano e le capiscono! Io credo in quello che faccio e nel pubblico che viene a vedermi; cerco di essere prima di tutto onesto con me stesso per esserlo con loro.
Gianfranco D’Angelo: - Il pubblico avrà gradito veramente? Fino a che punto il pubblico è stato contento di uscire per venire fin qui? Quali saranno i commenti sinceri che io non saprò mai? E’ un lavoro dove non ci si dovrebbe mai abituare, non deve mai diventare routine! Mi auguro che un attore, nella sua carriera, possa sempre essere diverso, che ogni sera possa dire mezza parola in più o in meno, con un’intenzione diversa. Recitare ascoltando la propria sensibilità del momento ti fa essere ogni volta diverso. Il pubblico non saprà mai dire nel particolare cosa è cambiato, ma la sensazione che arriva è ben diversa.