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Still Life, ritratto d’Oriente

ConSequenze

[img_assist|nid=5621|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]Vincitore del Leone d’Oro alla 63esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, è uscito qualche giorno fa nelle sale italiane Still Life, pellicola diretta dal cinese Jia Zhang-Ke che, fin dal momento della sua presentazione al Lido e specie con l’attribuzione del meritato premio ha letteralmente colto di sorpresa tutti coloro che non erano riusciti a vederlo, magari snobbandolo e prematuramente condannandolo come uno di quei soliti film cinesi lento, noioso.

Frutto del lavoro di un giovane regista, considerato il capofila del cinema indipendente cinese seppure la scarsissima visibilità dei suoi film sembrino relegarlo ad un ruolo marginale nel panorama cinematografico asiatico, Still Life racconta due tristi storie d’amore e lontananza.

Nel villaggio di Fengjie, luogo desolato e sommerso dall’acqua a causa della costruzione della diga delle Tre Gole, Han[img_assist|nid=5622|title=|desc=|link=none|align=right|width=640|height=361] Sanming, minatore, è un uomo che giunge con l’obiettivo di ritrovare la ex moglie che non vede da sedici anni e la figlia che non ha mai visto, e che si ritrova a lavorare come demolitore per potersi permettere il soggiorno. Contemporaneamente, Shen Hong è invece un’infermiera alla ricerca del marito, ingegnere a Fengjie, anzi direttore dei lavori di demolizione, che l’ha abbandonata due anni prima, e sul quale scoprirà verità poco piacevoli che la porteranno a un’importante scelta di vita.

Le vicende dei due si concluderanno in maniera diversa, anzi totalmente opposta: Han riuscirà a convincere l’ex coniuge a risposarsi con lui, mentre Shen prenderà atto che il suo matrimonio non ha più senso e sceglierà di divorziare dal suo compagno.
Due tristi storie d’amore narrate con uno stile essenziale, minimalista fanno da contrappunto ad uno spaccato sulla realtà sociale della Cina odierna, ritratta dal regista cinese di Dong (documentario presentato a Venezia nella sezione Orizzonti) attraverso i toni spenti e opachi di un paesaggio grigio e umido, specchio delle anime inquiete e fredde, glaciali, dei due protagonisti del film e di tutti coloro che incontrano.

[img_assist|nid=5623|title=|desc=|link=none|align=left|width=640|height=361]In questo scenario arido, quasi apocalittico, i due protagonisti non urlano mai  il proprio dolore ed è sorprendente come lo sguardo del giovane regista accarezzi una terra che sta faticosamente cambiando, a metà tra un passato ineludibile e un futuro che chissà ancora per quanto tempo sarà solo distruzione del presente. La grande Diga delle Tre Gole è la metafora di un inarrestabile processo di sommersione, che condanna un popolo a fare i conti con un cambiamento radicale.

Le vicende dei Han Sanming e dell’infermiera Shen Hong che vagano alla ricerca dei rispettivi consorti dai quali si sono separati per differenti motivi anni addietro rappresentano il tentativo disperato di recuperare ciò che non può essere recuperato. Perché anche i rapporti umani, al pari della conformazione ambientale, non possono essere ripristinati se non attraverso il filtro di un doloroso passaggio emotivo e culturale. Personaggi in bilico, che vivono in una terra in bilico, com’è ben rappresentato dall’ultima scena del film che si chiude con l’immagine di un uomo, un trapezista, sospeso in aria, a camminare su un filo! Da vedere.